Molto di quello che viviamo è già scritto nelle fiabe.
Il desiderio di realizzazione, l’istinto di spiccare il volo, la voglia di lasciarsi alle spalle il passato e diventare “grandi”.
Uno schema le cui versioni al femminile tutti ricordiamo – dai racconti dei nonni, dalle letture, dai cartoni animati: trovare il principe azzurro e unirsi a lui è ciò che dà inizio a una nuova vita, “quella vera”.
Ma è proprio nella vita vera in senso stretto – cioè nella vita reale delle persone – che gli schemi sono messi alla prova. E spesso crollano.
Ho sempre avuto una profonda repulsione verso chi se la prende con i più deboli, i bambini, gli anziani, le donne. Ogni volta, tutte le troppe volte che dobbiamo leggere di mogli o fidanzate o ex picchiate o uccise da uomini che è difficile definire tali, ne sono profondamente indignato. Come quando in quinta elementare difesi una bambina più grande di me, tornando a casa con occhi pesti e un labbro tagliato. Però ci provai e i bulli non lo fecero più.
È fin troppo facile elencare le storie, con le donne protagoniste, iniziate con (apparente) serenità e che portano invece a sottomissioni economiche o psicologiche, oppure peggio, a disillusioni segnate dal terrore e dalla violenza, a volte con esiti tragici. Tutti noi conosciamo vicende che all’esterno sembrano banali e che, in realtà, nascondono sofferenze e disagi veri.
La laureata a pieni voti, per dodici ore al giorno al lavoro nella farmacia del marito: pagata un tozzo di pane con i voucher manco fossimo nei campi di pomodori. Si sentirà realizzata in famiglia – me lo auguro – ma dubito che lo sia nella professione.
Francesca, una bella donna arrivata in riviera per le vacanze, sposata con un ragazzo buono e bello: in 30 anni non è mai potuta tornare al suo paese di origine, non ha mai viaggiato da sola in treno o in macchina fuori dalla città. Avrebbe voluto essere una madre e una moglie felice, ma anche realizzata dal punto di vista sociale ed economico, si è ritrovata chiusa in un “ruolo”, come imprigionata.
La giovane moglie di un grande imprenditore gonfio di soldi e pieno di sé: quando incontra un’altra più in forma, il marito le riserva continuamente parole e gesti di disprezzo, scoppi di ira in ogni occasione, da far venire i brividi, ho smesso di frequentarli. Passa poco tempo e lui la butta letteralmente fuori di casa col figlioletto di 5 anni, senza soldi e senza un tetto, per congiungersi con “l’altra”. Ci può stare tutto, ma non gli sarebbe costato veramente nulla lasciare a lei e al figlio l’appartamento e un mensile, che ha comunque dovuto concedere dopo l’intervento di un avvocato.
O la tipica arzdora romagnola tutta casa, piadina, tagliatelle e figli da accudire. Trascorsi gli anni e appassita la sua avvenenza, lui comincia a rivolgere l’attenzione verso l’amica svedese, poi la tedesca, ora una russa o ucraina o cubana. E lei, la moglie, accetta senza protestare lo stato di fatto, per non perdere il nido famigliare, o i figli o il benessere (o tutto insieme).
Ci sono tante donne come queste, oppresse dal potere economico e psicologico del partner: mogli, amanti, compagne; divorziate, separate; segretarie, cameriere, infermiere. Sono sempre di più, in questa nostra società impazzita. Accettano compromessi e a volte addirittura le violenze per non perdere lo “status”, anche sociale. Umiliazioni e stalking sono all’ordine del giorno, ma qualcosa di oscuro vieta a queste vittime di dire “basta” e di ricostruire la propria personalità: un condizionamento sottile, più o meno inconscio, le spinge ad accettare situazioni che sarebbero invece da rifiutare.
Il rovescio della medaglia, però, è bellissimo. Le (tante) donne che a 15, a 20 a 40-60 anni non si lasciano chiudere in un tunnel: non mollano, si rendono indipendenti, cominciano a studiare o riprendono a farlo, lavorano e si mantengono, sanno stare da sole fino a quando non trovano la persona giusta – non necessariamente capo-branco o pieno di quei tatuaggi incancellabili sulla pelle o alla guida di una spider decappottabile. Queste donne non finiranno per scoprire, in tarda età e stremate dalla fatica, che il loro uomo vive una seconda giovinezza artificiale con le pastiglie blu e si accompagna con la ballerina di salsa.
Che cosa rende possibili – anzi, sempre più frequenti – vicende del genere? Fare “quello-che-mi-pare-e-piace”, un ritornello vecchio come il mondo, è senza dubbio il motivo numero uno (e attenzione, non c’è solo il maschio oppressore della femmina, ma succede anche a parti rovesciate). Il resto lo determina la propensione, da parte di molte donne, a scegliere e a decidere il partner in base alle impressioni del momento, a un “sesto senso” che può rivelarsi errato anche senza essere tragico.
Così succede che è la donna stessa a fissare, in anticipo e senza saperlo, il suo “prezzo” , il prezzo che la imprigionerà.
Mi spiego meglio ricorrendo a quanto sostengono gli esperti delle storie di femminicidio, un fenomeno che ha fatto 39 vittime in Italia nei primi sei mesi del 2019. (1)
«La vittima – afferma ad esempio la psicoterapeuta Giusi Dangelico – è spesso una persona fragile, con forte dipendenza di personalità, una necessità eccessiva di essere accudita, un comportamento sottomesso e il terrore di una eventuale separazione. Tutto questo di solito si struttura nell’infanzia quando un genitore (il padre) assente o svalutante tende ad attaccare fisicamente o verbalmente la madre e/o i figli. Quando lui è un narcisista distruttivo, inevitabilmente una donna sensibile che tende a dare valore alla famiglia, più che ad altro, si annulla, si pietrifica, prosciugando ogni traccia di autostima e blocca una sana capacità di amare e di reagire adeguatamente». (2)
Lei, fragile e “bisognosa” di dipendenza, crede che l’affettuosità del ragazzo sia sana, mentre invece nasconde il lato oscuro della possessività e della manipolazione; così proseguono queste storie, spesso con effetti a catena sulle vite dei figli.
Torno allora al punto da cui sono partito, i racconti ancestrali: il principe azzurro può esistere ed è riconoscibile da segni e indizi inequivocabili, si capisce bene anche nelle fiabe: la promessa non viene smentita dai fatti, purché si riconosca bene la qualità della promessa, distinguendola dalle proiezioni dell’inconscio, dall’oscurità delle quali a volte salta fuori il mostro.
Post scriptum
Dato il problema delle donne che diventano oggetti in mano a uomini senza scrupoli, c’è una soluzione?
Facile, praticabile, alla portata?
La risposta è no, sarebbe troppo comodo.
Ma ciò non significa arrendersi ai discorsi degli intellettuali, secondo i quali «il problema è» – sempre e immancabilmente – «culturale». Le correnti politiche e di pensiero delle manifestazioni delle scarpette rosse, sempre pronte a salire sul carro dell’ultima protesta in argomento – come #MeToo, che a mio modesto parere ha portato più contraddizioni che progressi per la causa femminile – ripetono come dischi «è un problema culturale». In base a ciò, e ad a una buona dose di pregiudizio politico, queste correnti sono state capaci di lamentarsi perfino della legge del cosiddetto “codice rosso” anti-violenza.
La legge entrata in vigore da pochi mesi dà la possibilità a una donna di segnalare in tempo reale a chi di dovere il pericolo che sta correndo, entrando quindi di diritto in una corsia preferenziale di tutela.
Intendiamoci, i femministi in servizio permanente non hanno tutti i torti, è vero che la questione è anche culturale.
Solo che continuano a commettere gli errori che hanno sistematicamente commesso nei decenni scorsi, dalla rivoluzione sessantottina in avanti: de-responsabilizzare, dare la colpa agli altri (alla società, ai padroni, agli americani, alla tradizione eccetera eccetera eccetera) con il risultato di non risolvere un bel niente. Il problema è culturale, ma se cominciamo a reprimere e perseguire i reati con intelligenza e vero senso della giustizia, siamo già un pezzo avanti.
Poi c’è da fare un grande lavoro educativo con le nuove generazioni, quindi rivolto al futuro.
Educazione e valori: ne riparleremo.
NOTE
(1) Dati associazione Sos Stalking
(2) Fonte
IMMAGINE
Giulietta degli Spiriti, Federico Fellini 1965.